perennemente in viaggio

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perennemente in viaggio ...sempre in classe economica...

mercoledì 30 novembre 2011

La macelleria e lo "strappacuori"

"Solo due cose contano nella vita: l'amore in tutte le sue forme con ragazze carine e la musica...
Questa affermazione di Boris Vian,  risulta veritiera in ogni tempo ed in ogni luogo, anche in quelli più impensabili, come in un cimitero e in una macelleria...


5° puntata de "L'aiuto Becchino"

Avevo una speranza bellissima per il mio futuro che si materializzava in Angela. Lei era la mia compagna di classe a cui svelavo i miei segreti più intimi e lei, derisa dalle sue amiche perché osava frequentarmi, corrispondeva l’interesse. Ovviamente la nostra amicizia era ostacolata, non solo dal tipo di abitazioni diverse ma  anche dalla distanza. Quella striscia d'asfalto che separava il mio "condominio" dalla "vita reale", era invalicabile.  Per questo, ogni qualvolta che Remo si recava in paese, io mi univo a lui nella speranza di intravedere durante il "viaggio", il mio amato angelo.

La macelleria di Primo, il padre dell'amata di mio fratello, era un grande e vecchio fondo ricavato da un'ex-stalla. Una volta a botte altissima costituiva il solaio che pareva un cielo da cui piovevano lateralmente pezzi di carni di ogni genere di animale. Il banco altissimo poneva ad altezza degli occhi dei clienti altri pezzi di carne. Le pecore ed i manzi erano i frequentatori più assidui di quel banco. Sopra troneggiava lui, nella propria regale veste bianca spruzzata ancora di fresco da alcune macchie sanguinolente. In mano lo scettro a forma di mannaia, accanto al Re non mancava la sua degna consorte, Regina Cosetta, la quale, se possibile, aveva ancor di più un aspetto austero. Entrambi, osservavano gli incauti avventori dall'alto in basso, incutendo una terribile soggezione che obbligava all'acquisto consigliato dalla regale coppia.
Erano rare le nostre visite in macelleria. Il pollaio "condominiale" ci riforniva sufficienti scorte di carne per i giorni festivi, ma quel giorno mio padre volle fermarsi, con la scusa di qualche braciolina, pensava di instaurare un rapporto amichevole con l'eventuale futuro co-suocero.
Entrai in quel maniero zeppo di carni, stringendo la mano a mio padre. Un timido saluto di Remo ruppe la tensione e in risposta, Cosetta cominciò a tagliare con foga pezzi di manzo sul banco. Dopo l'acquisto di due esili tovaglioli di carne, Remo accennò alla situazione dei rispettivi figli. La coppia sopra il banco ascoltò con attenzione il ragionamento di mio padre, annuivano ripetutamente, intervenendo nei momenti salienti. Alla fine si scoprirono di essere d'accordo sul tentativo di dissuadere i due innamorati a causa della loro giovane età e per il loro bene. Trovai solo che le motivazioni dei due genitori erano leggermente diverse, soprattutto nel punto in cui si chiedevano dove avrebbero potuto vivere, certamente non nella nostra isola. Inoltre, Primo, sottolineava come Andrea, nonostante la buona posizione professionale (un lavoro così "non muore mai") fosse sempre circondato da personaggi poco raccomandabili, come Vittorione, poco "convenzionali".
Uscimmo con due o tre etti di carne e con tanta amarezza. Capivo che Remo avrebbe voluto stimolare Andrea a coltivare quella relazione anche solo per dispetto nei confronti di quella coppia così poco regale ma alla fine riteneva impossibile quella relazione anche per lui.


Prima di tornare a casa, mio padre doveva espletare il dovere settimanale che aveva nei confronti dell'ispettore cimiteriale. Il giardino, ovviamente non era di proprietà della mia famiglia, bensì della Arciconfraternita Misericordia, istituzione benemerita di antichissima memoria. La sede di tale istituzione era attigua alla chiesa principale del paese. L'ispettore cui Remo doveva consegnare il registro dei nuovi arrivi, era lo stesso parroco; Don Spartaco, il quale dopo avere avuto cura delle povere anime su quest'intricata sede terrestre, continuava a seguirle ed amministrarle anche nella sede celeste. Questo doppio ruolo non gli impediva di concedersi qualche pausa riflessiva con lo stimato vino da funzione.
Velocemente Don Spartaco eseguiva il controllo amministrativo che mio padre redigeva con cura calligrafica. Era quel tipo d'attenzione particolare che gli uomini abituati a lavorare con la terra, ponevano per gli atti scritti. Una pagina del registro, costava a Remo più sudore dello scavo di tre fosse. E quella cura meticolosa nel riempire correttamente le caselle dove indicavano il nome, la professione, l'ex-residenza e la data di "partenza" dei nuovi "arrivati", tradivano il passato contadino di mio padre. D'altronde Remo cambiò solo in parte il mestiere, solo che adesso scavava la terra senza sperare che vi potesse crescere qualcosa. I semi che vi gettava, con una sorta di appassionato distacco, non concedevano alcuna speranza di fioritura e tanto meno producevano l'impressione che la vita avesse un suo corso logico.
L'appuntamento con l'ispettore era sempre rapido. Don Spartaco sfogliava velocemente l'enorme registro, s'informava sullo stato dell'altare della cappella centrale, orgoglio di tutto il giardino e l'incontro si concludeva sempre con l'abituale richiesta di Remo sull'inizio dei lavori della nuova abitazione del custode, alla quale Don Spartaco rispondeva con la solita solenne alzata di spalle carica di speranza per il futuro.




lunedì 28 novembre 2011

Il decoder digitale contro Bergman

La dittatura del monopolio televisivo di quarantacinque anni fa mi impose la visione serale del "Il posto delle fragole" di Ingmar Bergman.  La sequenza iniziale del sogno del protagonista, provocò un leggero disorientamento pre-adolescenziale. Vedere uno dei miei primi film in un locale arredato principalmente da accessori funebri misti alla dispensa della cucina, all'interno di un cimitero; aggiunse ulteriore confusione a quel "habitat di crescita e  formazione" molto personale.

I sogni nel cimitero....
4° puntata de "L'aiuto Becchino"

Mia madre si era gettata alle spalle i sogni di una vita ricca di piccole gioie ed emozioni legate alle sue aspirazioni di cantante. Incallita amante dell'opera lirica, Bianca, navigava ormai con un sentimento di serena rassegnazione nella vita che si trovava a condurre. Nei ritagli di tempo rubati dai fornelli e la vendita degli accessori per le "porte dei mini appartamenti condominiali" (lumini, mazzolini di fiori, lampade votive, etc.), si dilettava a suonare il piano a muro posizionato nella stanza principale, semi nascosto dai mucchietti di lettere in bronzo e pezzi di marmo avanzati da qualche lavoretto di mio padre. 
    
Il volto di Bianca era luminoso e florido. Una donna di mezz'età leggermente obesa ma con una dolce allegria interiore che la rendeva ancora piacevole, confermato dal ronzio che produceva intorno a lei, Enzino.
Enzino era uno scapolo del paese che si arrangiava con lavori su commissione dati dai  parenti dei defunti. Provvedeva al cambio dei fiori, la pulizia delle lapidi, i lumini e così riusciva a strappare una modesta rendita mensile che gli permetteva di sopravvivere in una modesta casetta in paese. 

Questa sua attività, lo portava a frequentare quotidianamente il nostro giardino e in famiglia s'insinuava che i suoi modi gentili e timidi, segnati da un grosso imbarazzo nei confronti di Bianca, fossero i sintomi del suo velato corteggiamento a mia madre.
Remo non si preoccupava più di tanto, poiché aveva il sospetto che Enzino fosse una "donnacchera". Questa era la voce ricorrente che circolava in paese. In realtà Enzino, aveva un aspetto dimesso e triste, la sua esile figura ricurva tradiva il suo stato di profonda solitudine e infelicità. Sbrigare questi lavoretti gli dava la possibilità di allontanarsi dalle malelingue paesane e godere di una compagnia meno ostile.
Enzino visto da Otto Dix

  Enzino arrivava in cimitero con la sua bicicletta che appoggiava al muro della mia abitazione e nonostante tutte le maldicenze, da tutti noi era benvoluto e rispettato. L'unica persona che lo derideva con battutine velenose, era Vittorione e tra i due aleggiava un sottile filo d'odio.
Queste erano i personaggi con cui condividevo la maggioranza delle mie giornate e con i quali ho iniziato il mio viaggio. Ne manca ancora uno, fondamentale per il proseguo del racconto di queste memorie...

mercoledì 23 novembre 2011

Emozioni in un mercato e il nulla...

Proseguo sul sentiero intrapreso su questo spazio virtuale e ridefinisco il mio rapporto emotivo con il mondo attraverso una visita al mercato settimanale e la considerazione che mi viene in mente è sempre e comunque una frase Heideggeriana:
"Nel momento della noia profonda, nel momento della massima irrilevanza delle cose, nel momento in cui si affaccia il nulla, l’esserci ha la possibilità di interrogarsi sul suo rapporto con il mondo, sul suo essere-nel-mondo. «La noia profonda rivela l’ente nella sua totalità», ossia nel suo rapporto con il nulla."

Il nulla è abbinato alla morte? Forse la memoria della vita cimiteriale....
3° puntata dell'Aiuto Becchino:


I primi dubbi sulle mie convinzioni, nacquero quando la situazione sentimentale di mio fratello si complicò.
Andrea aveva tutti i privilegi del primogenito. Per diritto acquisito, era lui, ad esempio ad avere il compito di sigillare le bare di zinco con la fiamma ossidrica, aiutare mio padre a sotterrare e addirittura ad incidere sulle lapidi. Tutto ciò suscitava in me una piccola invidia nei suoi confronti amplificata dal fatto che adempieva a queste mansioni con latente sofferenza.
Una sera, dopo la cena consumata tra le consuete "nuvole di marmo", Remo discuteva animatamente con mio fratello. Il raro caso di litigio tra i due proseguì all'esterno dell'abitazione nei pressi del cancello. Affacciato da una delle finestre esistenti, seguivo con lo sguardo, l'allontanarsi di Andrea sulla propria moto Guzzi in direzione del paese.
Il paese era collegato a noi tramite un lungo viale asfaltato, come un ponte collega  un'isola con la terra ferma. La fioca luce rossa posteriore della moto pareva duellare con quelle dei lumini accesi all'interno del cimitero. La discussione verteva sulla convenienza della nuova relazione sorta tra Andrea e Lucia, la figlia del macellaio.


La famiglia di Lucia era benestante. Il lavoro del padre procurava una vita agiata e la poneva tra le famiglie più rispettabili del paese. Il padre di Lucia non vedeva bene questo amore sbocciato tra sua figlia e il figlio del becchino. Il becchino era una persona discreta e rispettata da tutti ma certamente non poteva essere considerato un mestiere invidiabile. 
Tutti in paese ritenevano il lavoro di Remo "un lavoro che non muore mai", ma nessuno avrebbe avuto il coraggio o meglio l'impudenza di avere a che fare con lui se non per "casi estremi e definitivi"


Le donne della famiglia, in prima fila, la nonna Aurelia, accudivano oltre la casa, anche un piccolo pollaio sistemato dietro la cappella centrale neo-gotica, poco distante dal deposito delle bare, maldestramente recintato da una rete metallica. La nonna ottantenne vedova del primo custode del "condominio", aveva il ruolo di coordinatrice domestica: elargiva consigli alla figlia Bianca (mia madre) sulla gestione amministrativa della famiglia ed al genero su come condurre il lavoro di becchino. La nonna fungeva anche da precettore per le mie due sorelle, nel pieno dell'effervescenza giovanile per niente annacquata dal luogo di residenza, anzi il loro mangiadischi era un generoso produttore di colonne sonore per ogni evento.
Le due sorelle, una bionda e l'altra bruna, erano discretamente corteggiate dagli esemplari di maschi rurali del paese, i quali non nascondevano la loro curiosità morbosa per quelle strane fanciulle. Uno di questi ragazzotti si distingueva tra gli altri, non solo per il lavoro che svolgeva, era istallatore dei nuovi apparecchi televisivi, ma soprattutto per il grado di educazione e cultura che possedeva. Aveva conosciuto le mie sorelle nel locale del paese adibito a discoteca, in pratica un magazzino nel retro del bar centrale, ed immediatamente si era invaghito di Graziella (la bionda), la quale si disinteressava completamente delle sue attenzioni, mentre era la bruna Gabriella che segretamente ricambiava l'interesse del giovane tecnico di nome Marco.

Marco fu il primo estraneo a sorpassare la soglia di casa. Con la scusa di propagandare il nuovo elettrodomestico, riuscì ad approdare sull’isola, senza avere motivi luttuosi. L'intento di Marco non era solo commerciale, tentava di vendere quella strana scatola magica insieme al suo cuore, offerto in omaggio a Graziella, la quale rifiutava sistematicamente quell'ingenua ma sincera "merce". Mia madre era più corruttibile, e convinse Remo ad acquistare la scatola magica, ottenendo il disappunto di Graziella e la felicità di Gabriella, poiché l'acquisto implicava una periodica assistenza da parte di Marco. In quelle ripetute "visite tecniche"  di Marco a casa mia, si sviluppò un rapporto di amicizia tra noi. "Quello della televisione", così Marco era riconosciuto dalla famiglia, divenne il mio primo vero amico.
In quel periodo non avevo amici al di fuori della scuola, i miei compagni non     frequentavano certi "giardini", per cui il sottoscritto era un sereno ragazzo solitario, al quale non pesava modificare giochi che solitamente erano effettuati in gruppo, come guardie e ladri, nascondino etc. I miei abituali compagni di gioco erano i residenti del mio "giardino d'infanzia".
Marco ruppe la routine domestica. Con me parlava dei suoi sogni, delle sue strane idee sulle speranze che poneva sul mondo intero, e di quel mondo ci aveva gettato l'immagine nella nostra isola. La nonna era più scettica di fronte ai discorsi del giovane tecnico, ogni volta che accendevamo "lo scatolone", lei lo osservava dal dietro, perché diceva che:
"Se Marco ci vede  il mondo,  io voglio vedergli il culo per capirlo meglio"...
..buco da dove vedere..


Tarzan a colori e 3D (1965)

sabato 19 novembre 2011

Coni di Cera, Governi Tecnici e Fuochi Fatui.



Avete mai usato quei coni di cera per stappare i vostri padiglioni auricolari dal cerume depositato da anni di incuria e mestizia igienica? Ebbene per usarli dovete poggiare la vostra testa su un tavolo e con un cono ben piantato in un orecchio dargli fuoco e attendere alcuni minuti in questa posizione, che l'aria calda penetrata nelle vostre cavità, faccia emergere gli scarti della vostra materia cerebrale (o qualcosa del genere). In quei minuti (nei quali la vostra testa assomiglia molto ad un'orribile torta di compleanno), ho visto l'analogia con il governo tecnico; anche questo è un rimedio estremo che dopo ripulito e assestato tutto il sistema, esso svanisce nell'aria come una torre d'avorio grigioazzurastra di fumo...?


Comunque le mie trombe di eustachio non suonano più come una volta e sono ancora intasate, nonostante i "fuochi fatui" del rimedio eseguito.



2° puntata....

Quella strana casa mi aveva accolto proprio mentre venivo al mondo e quella era la mia area di appartenenza, vivevo all'interno di un "grande condominio", isolato dal resto della comunità e malgrado l’amore dei miei cari, man mano che crescevo quel luogo smetteva di apparirmi un isola in cui rifugiarsi ed esaltarsi del proprio coraggio, anzi mi rendevo conto che gradualmente il cimitero diventava un ostacolo enorme nel farmi accettare dai miei coetanei i quali ai loro occhi ero sempre e solo il “figlio del becchino”. L’unica persona che poteva capire e condividere i miei disagi, perché deriso anch’egli dai paesani, era Vittorione, l’aiutante volontario di mio padre.

Vittorione era uno strano tipo di matto del paese, un ex-pugile con alle spalle una vita piena di sofferenze dovute alla guerra. Aveva uno strato impressionante di callo sopra le nocche delle mani, perché la passione della boxe non l'aveva abbandonato ed era sua abitudine allenarsi, dando innumerevoli cazzotti a mani nude sul muro di cinta del cimitero. Non era un tipo particolarmente simpatico ed io cercavo sempre di evitare di rimanere solo con lui. Vittorione era considerato dai paesani un tipo cinico e volgare e lui non mancava occasione per confermare questa impressione anche nei momenti meno indicati.

Vittorione visto da Otto Dix...
Giravo spesso in bicicletta attraverso gli stretti viali del cimitero, un giorno mentre pedalavo per i fatti miei, Remo mi chiese di aiutarlo in una esumazione. Il tipo di lavoro in questione diventava delicato quando si raggiungevano i resti della cassa di legno. Era opportuno porre molta attenzione nell'estrarre i resti del defunto, lasciare vanga e zappa e procedere con un piccolo arnese da scavo.

Ero completamente a disagio, i parenti del defunto mi osservavano attenti e preoccupati, così cedetti all'ansia di estrarre velocemente il teschio e coordinando male la forza impressa sull'arnese, causai una spaccatura nel centro del cranio ancora seminterrato. Ciò produsse una fragorosa risata di Vittorione tra il disappunto generale dei parenti-spettatori, che inveirono su mio padre, colpevole di sfruttare un ragazzo per simili lavori. Vittorione cercò di rassicurarmi ma l’imbarazzo era troppo grande e fuggì a casa. Avevo una piccola mania letteraria. Registravo su un quadernetto brevi frasi tratte dalle epigrafi, le più bizzarre come: " strappato all'attenzione della famiglia", "vittima innocente di una crudele macchina", "la vita è bella", e i nomi più strani dei nuovi arrivati. Così annotai, dopo l'incidente anche il nome del "tesoro" che non riuscì ad estrarre: "Cremo", cerchiandolo con una matita rossa affiancato da una crocetta, ritenendomi quasi colpevole di una sua seconda morte.




giovedì 17 novembre 2011

"Bisogna sempre andare avanti molto lentamente."

 Il quattordici novembre duemilaundici, sul far del giorno, un omuncolo senza qualità, decise di tornare a distendersi sul letto, per fare il punto della propria situazione storica e considerare il dar farsi.
La situazione la trovò poco chiara.  Il Premier Berlusconi si era dimesso da non molto e nonostante ciò all'orizzonte si disegnavano sagome sfatte di impoverimento culturale generalizzato.
L'omuncolo sospirò pur senza interrompere l'attento esame di quei fenomeni consunti e con le forze rimastagli tirò su il tronco per sedersi ai margini del letto e fu in quel momento che prese la decisione di scrivere qui, pensando di esorcizzare qualcosa, qualsiasi cosa sopratutto la speranza di stappare la propria narice destra che l'opprimeva da giorni.
Insomma per dirla alla Queneau:
senza indugio individua il sentiero adeguato e vi marcia di buon passo. Ed ecco che si accorge di aver preso un sentiero heideggeriano.
Applicando una teoria probabilistica, s’inoltro in un’altra direzione aleatoria quanto arbitraia, continuando a errare così fino al crepuscolo




Ebbene, ho deciso che periodicamente pubblicherò stralci della mia memoria "cimiteriale", abbinata alla contemporaneità (non so cosa significhi ma forse affascina altri che hanno intrapreso un sentiero Heideggeriano come me).
Quindi iniziamo.....

 Nevica su un paesino anonimo della Toscana in un imprecisato periodo del secolo. La luce del giorno si sta affievolendo producendo delle lunghe ombre sui muri delle case. Padre e figlio siedono accanto, compiti all'interno di una grande automobile. Il padre porta un berretto nero da autista, il ragazzo, di circa undici anni, pettinato con cura, sul suo volto traspare un'aria orgogliosa dovuta dalla sua "posizione". Il padre si rivolge al ragazzo dicendogli:
-Ricordati che bisogna sempre andare avanti molto lentamente.
Il ragazzo non risponde, è molto concentrato nell'imitare i gesti e le manovre del padre.
L'automobile si cui i due viaggiano è un vecchio carro funebre nero, seguito da un corteo di persone anch'esse nere. L'atmosfera risulta particolare, un grosso serpente nero che percorre in silenzio la bianca strada del paese.

Questo è il ricordo del mio primo funerale, cui partecipavo direttamente in modo ufficiale. Ero teso e fiero. All'interno di quel carro, potevo osservare i miei coetanei con una certa aria di superiorità. Eseguivo un lavoro importante: "l'aiuto-becchino". Mio padre, infatti, era il custode del cimitero del paese.

    Io e la mia famiglia vivevamo in una casa all'interno del cimitero. Non era precisamente una di quelle case da rimanere entusiasmi, visto che originariamente erano previsti i locali dove eseguire le autopsie. Comunque mio padre la spacciava a tutti noi come "un piccolo accogliente appartamento in un grande condominio" e vi lascio immaginare chi fossero stati gli altri condomini.
Mio padre, di nome Remo, era un tipo taciturno e pacato, abituato tutto il giorno ad avere poche conversazioni con i "clienti", continuava così anche in famiglia. Il suo lavoro diurno aveva un'appendice serale anche in casa.
Il tinello della casa, aveva una duplice funzione, quella consueta di sala da pranzo ed una più stravagante di laboratorio, dove Remo operava sulle lapidi di marmo attaccandoci sopra le lettere, cornici per le foto in ceramica e piccoli crocifissi di bronzo o di semplice alluminio per "clienti" meno facoltosi. I delicati piatti preparati dalla nonna con l'aiuto della mamma, si trasformavano in una sorta di "polenta esoterica", composta non solo da farina vegetale ma soprattutto da "nuvole bianche di marmo", condite da un aroma speciale di mastice.
C'erano solo due camere da letto, perciò erano sfruttate al massimo. Nella prima ci dormivamo io e miei genitori. Il mio piccolo letto era posto in un angolo della stanza attiguo alla porta che conduceva nella seconda camera. In questa "riposavano": la nonna  Aurelia, le mie due sorelle, Gabriella e Graziella, infine mio fratello maggiore Andrea.

Tutto sommato il clima era dolce ed accogliente. Quella strana casa mi aveva accolto proprio mentre venivo al mondo e quella era la mia area di appartenenza, vivevo all'interno di un "grande condominio", isolato dal resto della comunità ma era per me un luogo fantastico, un isola in cui rifugiarsi per trovare situazioni eroiche, esaltarsi del proprio coraggio e dichiarare la propria libertà e diversità dai miei coetanei.